Ci
sono album capaci di ondulare, come dei serpenti, tra la linea che
divide la musica “pop” da quella underground e meno appetibile
al grande pubblico. Premettendo che quella linea, circa 17 anni fa,
era molto più sottile, non possiamo evitare di considerare The
Bends dei Radiohead come uno dei lavori più intelligenti degli
ultimi 20 anni. Un quintetto colto e che sa quello che fa, i
Radiohead, aventi all'attivo (all'epoca) solamente un album (Pablo
Honey) di cui tanto si discusse, soprattutto per la hit Creep:
malinconica e post-adolescenziale, deprimente ma eccezionalmente
carnale. Il gruppo di Oxford nel 1994 è tormentato dal successo del
suo cavallo di battaglia commerciale, che rischia di trascinarli nel
buco della perdità di originalità.
Convinti di poter distruggere la
loro reputazione di “band da singolo” i Radiohead si mettono al
lavoro e, agli atti, lo fanno bene, molto bene. Frutto di una
meditazione lunga e ben congeniata, l'album parte con Planet
Telex: pur essendo registrata in
poco più di una notte (piuttosto alcolica da quanto si dice)
costituirà uno dei pilastri del rock alternativo inglese di punta,
scopiazzata a man bassa o ricordata da tanti artisti futuri (es. gli
italiani Verdena, Scegli Me).
La voce di Yorke è divina, evocatica come non mai e timbricamente
unica.
E' il turno di The Bends,
che da il titolo all'LP. Distorta e corposa, è un pezzo alternative
di ottima fattura. Passiamo ad High and Dry,
scartata dalle registrazioni del primo album (forse proprio perchè
avente un appeal molto popolare, sulla linea di Creep) è la classica
ballata rock anni 90, dolce e melodica e colorata dai falsetti di
Yorke e dagli arpeggi di chitarra. Ottimo lavoro anche dal lato della
timbrica chitarristica, come al solito d'altronde. Fake
Plastic Trees parte e continua
lenta, malinconica, uggiosa.
Ecco che si arriva a Just
(dopo altri due gran pezzi, tra
cui la fantastica Bones),
il capolavoro (nato da una sfida tra il cantante e il chitarrista
Jonny Greenwood su chi riuscisse a scrivere il brano con più
accordi): è la traccia da dove emerge più che mai il tocco
Radiohead, lo stile è ormai chiaro, Creep
è lontana. Si cala un po' ma l'entusiasmo ritorna presto prima con
Sulk (dal testo
all'apparenza allusivo, per chi è malizioso, dove Yorke da
un'eccellente prestazione vocale) e Street Spirit (Fade
Out), probabilmente una delle
chiusure migliori di sempre per un album di rock alternativo.
Per chi non si sia mai avvicinato ai Radiohead, The Bends costituisce sicuramente il miglior porto dove approdare, seguito immediatamente dal successivo Ok Computer. Un masterpiece che compare tra gli album preferiti della maggior parte degli artisti indie e non.
Voto: 8/10
Voto: 8/10
Andrea Befera
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