venerdì 21 ottobre 2011

Radiohead – Just



Ci sono album capaci di ondulare, come dei serpenti, tra la linea che divide la musica “pop” da quella underground e meno appetibile al grande pubblico. Premettendo che quella linea, circa 17 anni fa, era molto più sottile, non possiamo evitare di considerare The Bends dei Radiohead come uno dei lavori più intelligenti degli ultimi 20 anni. Un quintetto colto e che sa quello che fa, i Radiohead, aventi all'attivo (all'epoca) solamente un album (Pablo Honey) di cui tanto si discusse, soprattutto per la hit Creep: malinconica e post-adolescenziale, deprimente ma eccezionalmente carnale. Il gruppo di Oxford nel 1994 è tormentato dal successo del suo cavallo di battaglia commerciale, che rischia di trascinarli nel buco della perdità di originalità. 

Convinti di poter distruggere la loro reputazione di “band da singolo” i Radiohead si mettono al lavoro e, agli atti, lo fanno bene, molto bene. Frutto di una meditazione lunga e ben congeniata, l'album parte con Planet Telex: pur essendo registrata in poco più di una notte (piuttosto alcolica da quanto si dice) costituirà uno dei pilastri del rock alternativo inglese di punta, scopiazzata a man bassa o ricordata da tanti artisti futuri (es. gli italiani Verdena, Scegli Me). La voce di Yorke è divina, evocatica come non mai e timbricamente unica. 

E' il turno di The Bends, che da il titolo all'LP. Distorta e corposa, è un pezzo alternative di ottima fattura. Passiamo ad High and Dry, scartata dalle registrazioni del primo album (forse proprio perchè avente un appeal molto popolare, sulla linea di Creep) è la classica ballata rock anni 90, dolce e melodica e colorata dai falsetti di Yorke e dagli arpeggi di chitarra. Ottimo lavoro anche dal lato della timbrica chitarristica, come al solito d'altronde. Fake Plastic Trees parte e continua lenta, malinconica, uggiosa. 

Ecco che si arriva a Just (dopo altri due gran pezzi, tra cui la fantastica Bones), il capolavoro (nato da una sfida tra il cantante e il chitarrista Jonny Greenwood su chi riuscisse a scrivere il brano con più accordi): è la traccia da dove emerge più che mai il tocco Radiohead, lo stile è ormai chiaro, Creep è lontana. Si cala un po' ma l'entusiasmo ritorna presto prima con Sulk (dal testo all'apparenza allusivo, per chi è malizioso, dove Yorke da un'eccellente prestazione vocale) e Street Spirit (Fade Out), probabilmente una delle chiusure migliori di sempre per un album di rock alternativo. 

Per chi non si sia mai avvicinato ai Radiohead, The Bends costituisce sicuramente il miglior porto dove approdare, seguito immediatamente dal successivo Ok Computer. Un masterpiece che compare tra gli album preferiti della maggior parte degli artisti indie e non.

Voto: 8/10


Andrea Befera

sabato 15 ottobre 2011

Slint – Spiderland



Immaginate di prendere i canoni classici dell'hardcore e stravolgerli del tutto, snaturando questo genere e denudandolo della sua corazza massiccia. Immaginate di spaziare dalla psichedelia al jazz, lavorando su controtempi inquietanti ma allo stesso ingenui e scarni riff. Immaginate di uccidere il rock con le sue stesse armi, una chitarra, una batteria e un basso. Immaginate di fare tutto questo mentre spopolava il grunge e orde di ragazzini acerbi compravano dischi dei Nirvana o dei Pearl Jam. 

Questo è quello che hanno fatto gli Slint di Spiderland, un disco che, passato in sordina al tempo della sua uscita, nel 1991, ha rivoluzionato completamente la storia del rock in un tempo successivo. 6 tracce che hanno dato la luce a quello che oggi chiamiamo post-rock.Gli Slint nascono in seguito allo scioglimento degli Squirrel Bait, un influentissimo gruppo punk della seconda metà degli anni 80. Già in questa formazione di delineano alcuni tratti che, anche se molto offuscati, salteranno alla ribalta con gli Slint: la ricerca di una vaga melodia all'interno della furia dell'hardcore punk, tra gran casse martellanti e distorti pesanti. Individuati da Steve Albini, gli Slint lavorano al loro primo album Tweez, di cui ogni traccia è dedicata ai genitori di ogni membro del complesso. E' un disco ancora piuttosto immaturo ma intelligente e originale, è il 1989. 

Torniamo a Spiderland e in particolar modo al brano d'apertura: Breadcrumb Trail. Il riff iniziale si costruisce su armonici naturali e dissonanze, accompagnate dalla voce che più che cantato è mormorio. Il brano esplode in distorsione, poi diventa quieto e solo questo contribuirebbe a renderlo un album quantomeno originale e apprezzabile, ma siamo soltanto all'inizio. Impossibile non menzionare Washer: è la traccia più orecchiabile, almeno inizialmente. Il gioco di dissonanze e cambi di tempo diventa poesia. 

Nosferatu Man, che prende il nome dall'omonima pellicola, si basa su riff inquietanti e i cambi di tempo sono continui: si apre in 5/4, poi si articola in 6/4, quindi 4/4. Il disco si conclude con Good Morning Captain, il "masterpiece" che esplode in una sfuriata post hardcore quasi liberatoria sul finale. In definitiva Spiderland è un disco talmente complesso e innovativo che può essere solamente ascoltato per coglierne a fondo tutte le sfaccettature (il gruppo stesso consiglia, sul retro, di ascoltarlo in vinile per apprezzare i dettagli sonori meno udibili). 

Gli Slint si scioglieranno dopo aver rilasciato un EP contenente i brani Glenn e Rhoda, una reinterpretazione del brano già visto in Tweez, anche se ognuno di loro continuerà la carriera musicale in altre formazioni underground (es. For Carnation). Si riuniscono nuovamente nel 2005 per una serie di concerti. Spiderland è senza ombra di dubbio il capolavoro del 1991 (per chi abbia l'orecchio e la voglia per comprenderlo) e l'apripista del post rock dei vari Tortoise, Godspeed You! Black Emperor, Mogwai ed Explosions In The Sky.

Voto: 9/10 


Andrea Befera

System Of A Down – Toxicity



Il 2001 è stato un anno tragico per la storia dell'umanità: l'attacco alle Torri Gemelle lasciò a bocca aperta miliardi di persone in tutto il mondo e la vita di molti non fu più la stessa dal fatidico 11 Settembre di quell'anno. In quei giorni Toxicity dei System Of A Down era al primo posto della classifica di Billboard. Sulla copertina una scritta che è chiaramente una parodia di quella di Hollywood, sullo sfondo una collina arida. 

Reduci dall'omonimo disco d'esordio, carico di riff violentissimi e d'impatto (come in Sugar), i SOAD non fanno altro che proseguire sulla linea già tracciata dal loro precedente lavoro. Le chitarre sono ancora le stesse, come i vocalizzi di Tankian e i riff di Malakian. Quello che rese particolarmente celebre il disco è sicuramente l'aggiunta di alcuni elementi melodici che rendono appetibile il lavoro ad un pubblico più vasto. La title track è uno dei pezzi più riusciti, costruito su un accordatura in drop C e su un arpeggio relativamente anonimo che sfocia in una delle composizioni alternative metal più conosciute dell'ultimo decennio. Il testo lascia riflettere: come hanno ripetuto in passato più volte in passato i System, è l'ascoltatore che deve assegnare una propria interpretazione alle canzoni. 

Il vero capolavoro è forse Chop Suey, dove emerge tutta l'abilità del frontman nel destreggiarsi tra parlato frenetico, urla e cantato melodico. Memorabile anche Science, che può vantare un intermezzo strumentale veramente notevole che rimanda volente o nolente alle atmosfere orientaleggianti dell'Armenia, da dove proviene il quartetto. La traccia di chiusura, Aerials, è un degno finale ad un album eccellente che rappresenta una delle migliori interpretazioni in chiave alternative del metal moderno. Arto, la hidden track, è una composizione strumentale legata alla già citata Aerials che richiama molto ritmi tribali e proibiti.

Voto: 7,5/10 


Andrea Befera

Alice In Chains – Jar Of Flies

Disagio, malinconia, puro decadentismo moderno, una mezz'ora di sconforto post adolescenziale. Questo è Jar Of Flies degli Alice In Chains, datato 1994, forse uno dei dischi più belli del decennio e dell'intera musica grunge. E' un lavoro che si discosta dai canoni consueti degli AIC: un EP semiacustico da 7 tracce, private della potenza sonora della band di Seattle pur mantenendo la profondità dei testi e le stesse tematiche. Venne composto in tutta fretta per contrastare commercialmente l'uscita del nuovo lavoro degli Stone Temple Pilots, in una settimana esatta, giorni di alcohol e tristezza sentita. 

E' anche il primo disco in cui suona Mike Inez, il nuovo bassista della band, il cui contributo sarà fondamentale nella riuscita di tutti i brani, in particolar modo in I Stay Away. Ci sono ancora le chitarre abbassate di mezzo tono, c'è ancora la voce espressiva di Layne che si intreccia con quella di Cantrell ma dimenticatevi le cavalcate alternative metal di Them Bones o We Die Young, questa è tutta un'altra cosa. L'EP si apre con Rotten Apple, pezzo psichedelico, dai versi ripetitivi e ambigui: linea di basso a dir poco geniale. 

La seconda traccia è forse la migliore e la più celebre del disco, Nutshell si articola su 4 accordi ma è una delle ballate rock più commoventi e meravigliose mai scritte: la voce di Layne diventa tutt'uno con il brano ed è già leggenda, "We Chase Misprinted Lies" diceva Staley, ed aveva nettamente ragione. Parte l'assolo ricco di delay, indimenticabile. I Stay Away può vantare un intro delizioso e azzeccatissimo, dopo circa 50 secondi di pura armonia il cambio di sonorità coglie vagamente impreparato chi ascolta, poi il ritorno all'intro. Un pezzo indimenticabile. 

E' la volta di No Excuses, traccia rock decadente piuttosto famosa che trascinò l'intero Ep in testa alle classifiche americane: le voci di Cantrell e Staley si intrecciano nel solito gioco di armonie che fa scena, un ottimo pezzo. Whale e Wasp è una composizione strumentale in cui emerge tutto il buongusto di Cantrell nella scelta di armonie perfette: il brano ricorda il ronzio di una mosca e una balena, proprio come dichiara il titolo. E' l'ora di Don't Follow, bellissima traccia arpeggiata che fa pensare a un ambiente bucolico, qui è Cantrell a cantare, accompagnato verso il finale da Staley. 

Il disco si chiude con Swing On This, forse l'unico brano di cui si poteva fare a meno, un pò fuori tema nel contesto, ma che contribuisce a spezzare i toni tristanzuoli del lavoro composto dal quartetto di Seattle. Jar Of Flies è sicuramente una perla in mezzo al mare della musica alternative rock anni 90, toccante ed espressivo come pochi altri album del periodo.Un must-have assoluto per tutti i tipi di ascoltatori.


Voto: 8,5/10



Andrea Befera